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Francesca

Aprile 11, 2020

Gli sguardi della gente si posano su di me mentre cammino per strada.

Passo dopo passo, un piede avanti all’altro, mi avvicino alla meta, mentre il mondo mi osserva.

Osserva e giudica, perché purtroppo dietro a un semplice sguardo si celano milioni di parole e pensieri inespressi. Prima quella sensazione mi schiacciava nel mio peso già esile e mi costringeva ad abbassare lo sguardo, a chiudermi in me stessa, quasi come se mi sentissi in colpa per il corpo che porto in giro.

A volte mi rifugiavo nella mia mente per proteggermi da occhi indiscreti e da dita che indicandomi mi mettevano in soggezione; un fenomeno da baraccone, ecco come mi sono sentita negli ultimi mesi.

Un essere alieno, catapultato senza motivo in un mondo che non conosce e non capisce; o forse sono gli altri gli alieni che non riescono a comprendere me. Che presunzione, credere di poter gestire tutto e tutti, di essere sempre in grado di trovare una soluzione a qualsiasi problema; voler cambiare questo universo storto, come se gli errori del genere umano dipendessero solo da me.

Non può un granello di sabbia creare una tempesta dal nulla, sconvolgere un sistema imperniato su ideali sbagliati. Mi sono riempita la pancia di rabbia,fino a credere di essere sazia e di non avere bisogno di cibo vero.

Per ogni cosa che mi infastidiva, organizzavo una protesta silenziosa basata su ciò che mettevo nel mio piatto. Più ero irritata, più il piatto era vuoto, mentre la mia pancia urlava odio e dolore. I motivi ancora sto cercando di capirli. Gli abiti che mi erano stati cuciti addosso avevano iniziato a starmi stretti, ma nonostante la mia crescita, mi sforzavo di rimanerci dentro in qualsiasi modo, fino a contorcermi nelle più assurde e inumane posizioni.

Mi mordevo la lingua ogni volta che il mio pensiero si scontrava con quello degli altri, e facevo uscire dalla mia bocca solo parole accondiscendenti, per mantenere un equilibrio stabile in ogni

relazione, come se la minima contraddizione fosse in grado di distruggere ogni forma di affetto.

Mi impegnavo a rispettare sempre gli altri, ma non mi accorgevo che per fare ciò, la prima che non rispettavo era me stessa. I problemi altrui erano sempre più importanti, i miei non contavano. Potevo caricarmi ddei loro pesi, mentre già faticavo a portare i miei, poiché non mi davo mai il permesso di chiedere aiuto. Alla fine sono rimasta schiacciata.

Mi sono appiattita sotto questa tremenda e insostenibile pressione. Sono scomparsa. I miei occhi avevano smesso di brillare, poiché perfino la loro luce era diventata troppo debole. E più la vista si annebbiava, più i sensi si spegnevano, riducendomi a un guscio freddo e vuoto. Non più ero capace di esprimere emozioni, niente mi toccava e nessuno riusciva più a smuovere il mondo arido che si era creato dentro di me.

Poi qualcosa è cambiato. La mia mano si è alzata, si è aggrappata all’aiuto che mi è stato dato da persone che davvero mi vogliono bene. Persone che io ho fatto soffrire, senza consapevolezza, poiché il mio cervello era spento, chiuso dentro una scatola insonorizzata che mi separava dalla realtà.

Adesso quegli sguardi che si posano su di me mentre cammino non riescono più a schiacciarmi, hanno perso la loro potenza. No, loro non hanno perso potenza, sono io che sono diventata più forte. Tanto forte da sostenere il peso di occhi e gesti che prima mi uccidevano. Un passo dietro l’altro, alzo la testa e mi sento fiera.

Ho un problema, ma sto lottando. Lotto per cambiare tutto ciò che mi ha quasi portata a distruggermi. Non posso cambiare l’universo, ma posso cambiare il mio mondo, fino a renderlo migliore. Ho strappato i vestiti che portavo e li sto ricucendo su misura, per starci più comoda. Non sarà semplice come lavoro, ma non mi farò scoraggiare dalla paura.

Alla fine di questo restauro, avrò creato un’opera d’arte.

 

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